Nicolae Minovici
Bizzarro Bazar
Quello del medico è un mestiere strano: da una parte professione, dall’altra vocazione per così dire “assoluta”, che dovrebbe prescindere dal tornaconto e dal benessere personale. In effetti, dal giuramento di Ippocrate in poi, ogni medico è tenuto a prestare soccorso anche al di fuori dell’ambito strettamente professionale, e non sono certo pochi quei dottori che mettono a repentaglio la propria stessa salute pur di curare, o anche soltanto comprendere, una malattia.
Nicolae Minovici (1868-1941) era uno di questi uomini decisi a sporcarsi le mani pur di aiutare gli altri.
Gran parte della sua vita fu spesa a soccorrere i deboli, gli umili e i reietti che nella Romania di inizio secolo ricevevano ben poco sostegno da parte delle autorità: fu il fondatore di uno dei primi servizi di ambulanza e pronto soccorso, diede cure e assistenza a più di 13.000 senzatetto, offrendo loro la possibilità di reintegrarsi lavorando per le unità di emergenza. Si occupò anche delle ragazze madri, aprendo dei punti di accoglienza in cui le giovani donne potevano trovare aiuto prima e dopo il parto. Fu inoltre sindaco del quartiere di Băneasa, dove rimodernizzò fognature, fontane, ricoveri notturni.
La carriera professionale e accademica non era per Minovici che un’ulteriore declinazione del suo coinvolgimento nel sociale. Essendo stato medico legale, aveva potuto toccare con mano le realtà più drammatiche del suo tempo; i suoi studi di criminologia, anatomia patologica, psichiatria e antropologia lo portarono poi a interessarsi alla delinquenza (d’altronde suo padre era Mina Minovici, fondatore rumeno delle discipline criminologiche). Nel 1899 Nicolae pubblicò un saggio sulla presunta relazione fra tatuaggi e personalità criminale, arrivando alla conclusione — atipica per quei tempi — che non ve ne fosse alcuna. Fondò l’Associazione di Medicina Legale di Romania, e il Romanian Journal of Legal Medicine.
Ma il suo nome è ricordato soprattutto per un altro lavoro, il famoso Studio sull’impiccagione del 1904.
La sensibilità umanista di Minovici lo portava a credere che la vocazione di un medico dovesse essere allo stesso tempo scientifica e morale, come dicevamo in apertura. D’altronde, non era tipo da tirarsi indietro di fronte al pericolo.
Quando, all’inizio dei suoi studi sullo strangolamento, si rese conto che non avrebbe potuto capire a fondo la dinamica dell’impiccagione senza provare ad impiccarsi, Minovici non esitò.
Nel suo primo esperimento, Minovici provò a regolare personalmente l’intensità dell’asfissia. Fece passare la corda in una carrucola fissata al soffitto, e attaccò un dinamometro al cappio (non scorsoio): poi tirò con tutte le sue forze sull’altro capo della fune. Immediatamente il suo volto virò al rosso scuro, e Minovici udì un fischio continuo nelle orecchie, mentre la sua visuale diventava sfuocata. Dopo soli sei secondi, perse conoscenza.
Il sistema gli consentiva di interrompere la tensione della corda nel momento esatto in cui venivano a mancare le forze. Dopo aver sperimentato a questo modo diverse altre posizioni, annotando tempi di resistenza e sintomi, Minovici passò a una fase di prove decisamente più pericolose. Aiutato da alcuni assistenti, stabilì di farsi sollevare per il collo, usando ancora una volta un nodo non costrittivo.
Un paio di assistenti tiravano la corda, uno di loro scandiva ad alta voce il conto dei secondi che passavano, in modo che anche Minovici lo sentisse al di sopra dell’acufene. Ma la prima volta che il professore venne sollevato da terra, e i suoi piedi persero il contatto con il pavimento, un lancinante dolore gli attraversò la gola, mentre le vie respiratorie rimanevano strozzate e i suoi occhi si serravano involontariamente. Minovici segnalò freneticamente agli assistenti di riportarlo a terra, dopo pochissimi secondi.
Per nulla scoraggiato, Minovici decise che gli serviva un po’ di pratica. “Mi lasciai penzolare sei o sette volte, per quattro o cinque secondi al fine di abituarmi“. Dopo questo allenamento, il professore riuscì a resistere fino a 25 secondi mentre era impiccato con i piedi a due metri dal pavimento: lo scotto da pagare per questo esperimento furono due settimane di fitte ai muscoli del collo e alla gola.
Infine, Minovici si preparò all’impresa più pericolosa ed estrema: avrebbe tentato di usare un nodo scorsoio.
Come al solito, i suoi assistenti cominciarono a tirare la corda ma questa volta il cappio si strinse in un attimo, artigliandogli il collo in una morsa di dolore bruciante. Lo shock fu così intenso che dopo soli tre secondi Minovici fece segno di lasciare andare la corda. I suoi piedi non avevano mai lasciato il suolo: nonostante questo, per tutto il mese successivo il professore deglutì a fatica e con sofferenza.
Oltre agli esperimenti su se stesso, Minovici ne condusse anche altri — meno drammatici — su volontari, che venivano strangolati tramite pressione della carotide e della giugulare. Anche in questi casi, mentre la faccia del soggetto diventava paonazza, si presentavano problemi alla vista, parestesia (sensazioni di formicolii e punture sulla pelle, o di avere gli arti “addormentati”), calore alla testa e acufeni.
La ricerca di Minovici, pubblicata in Romania nel 1904 e in Francia nel 1906, venne ampiamente citata nei successivi studi sull’argomento. Il suo saggio, infatti, non si limitava al resoconto di questi singolari esperimenti di impiccagione, ma riportava casistiche, statistiche, tipi di nodi maggiormente utilizzati dai suicidi, annotazioni di anatomia e via dicendo.
Nicolae Minovici, appassionato di folklore, lungo tutta la sua vita aveva collezionato oggetti d’arte popolare rumena. Quando nel 1941 morì ancora celibe, donò la sua casa e la sua collezione al Paese, e oggi la sua villa a Bucarest ospita un museo etnologico.